domenica 27 marzo 2011

The Fab Sixties

Ed è proprio Londra che il settimanale americano Time elegge nell'aprile 1966 metropoli del decennio: London: «the swinging city».
La città che si muove, la città europea dove si concentrano, si comprimono, si sovrappongono il maggior numero di novità, dal teatro al cinema, dalla musica alla moda, dall'architettura al modo di vestire, nutrirsi, fare l'amore, insomma un modo di vivere, uno «stile».
Corrado Augias “I segreti di Londra”

Il perché ho scelto Swinging London come nome del mio blog? Non è certo difficile da capire.
Chi ha avuto o avrà la fortuna di avvicinarsi alla cultura degli anni '60 non potrà non rimanerne affascinato, colpito e perché no divertito da quel fervore. Si tratta di giovani ragazzi e ragazze che in modi assai bizzarri e diversi hanno combattuto per i loro diritti, per la libertà, per noi.
Ho cominciato a studiare e approfondire questa grandiosa parte di Storia per la mia tesi specialistica e proprio grazie a questo lavoro di continua ricerca ho potuto capire di che tipo di rivoluzione si trattava. Così diversa dalle precedenti ma certo non meno importante.
Non preoccupatevi non vi farò adesso una lezione di Storia, ma per capire la Londra di adesso non si può prescindere dal suo recente passato.
Con il termine “Swinging London” si definisce genericamente quell'insieme di tendenze culturali che si svilupparono nella Londra di metà anni Sessanta. Uno dei catalizzatori di questo fenomeno fu il recupero dell'economia inglese dopo il periodo di austerità e razionamenti del dopoguerra, che durò per gran parte degli anni cinquanta.
Le novità abbracciarono per lo più la musica pop, il cinema, le arti e la moda.
La cosiddetta “Invasione Britannica”, musicalmente parlando, si riferisce proprio agli artisti che caratterizzarono questo decennio: i Beatles e i loro “cugini” trasgressivi “Rolling Stones”.
Eroina indiscussa della moda, Mary Quant, stilista inglese e inventrice della minigonna, che lancerà facendola indossare a una parrucchiera di 17 anni, Leslie Hornby detta Twiggy (grissino), antesignana delle top model-teen ager.
"Le vere creatrici della mini sono le ragazze, le stesse che si vedono per la strada" 
È vero, il passato è passato e non si può certo tornare indietro, ma Londra è la città dove tutto è possibile quindi se volete fare anche voi un salto nei grandi anni '60 la vostra meta non potrà che essere Carnaby Street.
Carnaby è ancora oggi il centro dello shopping. Con oltre cinquanta boutique indipendenti che in questo mezzo secolo hanno resistito all'assalto dei grandi marchi. Ad esempio, si possono acquistare magliette e giubbotti da Ben Sherman al civico 50, i jeans di Pepe al 26, le scarpe da Sherry's al 24 dell'adiacente Ganton Street che si sposano perfettamente con i nuovi store ove sono esposte le creazioni dei giovani fashion designer di Londra, dagli accessori di Ollie & Nic al 20 di Foubert's Place alle t-shirt "grafiche" in edizione limitata che Super Superficial vende tre porte prima.
Questa zona è amata anche dai punk che affollano l'atelier dell'italo inglese Rocky Manzilli, lo Year Zero London al 37 dell'adiacente Beak steeet, un arcobaleno di colori.
Un consiglio? Infilatevi un paio di pantaloni a zampa, qualche accessorio floreale oppure la classica minigonna e andate. Il resto sarà una continua scoperta...
Enjoy!

mercoledì 16 marzo 2011

Se qualcosa può andar male, lo farà!

Avete mai sentito parlare della Legge di Murphy? Sono sicura che la parte sfortunata di voi almeno una volta si è appellata a tale legge, anche se indirettamente.
Io, da persona diciamo poco fortunata, ho iniziato ad interessarmi al pensiero “murphologico” per cercare una spiegazione, meno triste e banale della semplice sfiga, e dare un significato ironico alle piccole disgrazie che mi capitavano, e capitano tuttora.
La “Legge di Murphy” non è un vero e proprio postulato scientifico, si tratta invece di un insieme di detti popolari della cultura occidentale, frasi umoristiche il cui intento è essenzialmente quello di deridere ogni negatività che le giornate e il quotidiano ci propongono.
Il padre fondatore Edward Murphy, ingegnere dell'aeronautica statunitense, era uno degli scienziati addetti agli esperimenti con razzo-su-rotaia compiuti dalla US Air Force nel 1949, al fine di testare la tolleranza del corpo umano alle violente accelerazioni.
Uno dei tanti esperimenti prevedeva un gruppo di 16 accelerometri montati su diverse parti del corpo del soggetto; Erano due le possibilità in cui ciascun sensore poteva essere agganciato al suo supporto e sistematicamente i tecnici montavano tutti e 16 i sensori nella maniera sbagliata.
Fu allora che Murphy pronunciò la storica frase:
se ci sono due o più modi di fare una cosa,
e uno di questi modi può condurre ad una catastrofe,
allora qualcuno la farà in quel modo”
e fu proprio il soggetto del test, il medico John Paul Stapp, a riportarla in conferenza stampa pochi giorni più tardi.
Questo assioma di Murphy si può dire che riassuma un fatto statistico-matematico: per quanto sia improbabile che si verifichi un certo evento, entro un numero elevato di occasioni, questo finirà molto probabilmente per verificarsi (Legge dei grandi numeri).
Tuttavia il senso che hanno assunto le leggi fino ad oggi diffuse è totalmente diverso.
L'effetto ironico/catastrofico che assumono sembra allontanarci dalla realtà, e invece alla fine si rimane colpiti proprio dall'effetto contrario: dal sorriso iniziale si passa al “cavoli se è vero!”.
Vediamo qualche esempio di sfortuna alla Murphy nel quotidiano: per esempio, vi è mai successo di fare la coda alla cassa del supermercato e puntualmente capitare nella fila più lenta? E quando finalmente vi decidete a cambiare, magicamente la vostra fila precedente scorre che è una meraviglia? È si, ci siamo passati tutti!
Oppure, vi comprate la maglia/vestito/scarpe a cui facevate la corte da un mese, bene state pure certi che il primo, al massimo il secondo giorno che lo indosserete riuscirete sicuramente a sporcarlo.
Piccoli esempi, e sono sicura che se ci pensate un pochino ve ne verranno in mente altri mille.
Da quando abito qui a Londra il mio amico Murphy ha deciso di mettersi tra me e le scarpe che vorrei comprare, dico vorrei perché puntualmente ogni volta che trovo LA scarpa che mi piace:
A-Non c'è il mio numero
B-Supera il budget che mi ero prefissata
C-Il giorno che finalmente decido di andare al negozio, piove, nevica o è chiuso
Un'altra simpatica scenetta alla Murphy che è diventata ormai una ricorrenza per me è quando per esempio un determinato giorno non voglio assolutamente incontrare una determinata persona, Tizio o Caio, e invece quello sarà proprio il giorno in cui mi ci ritroverò faccia a faccia.
Le Leggi a volte sono una vera scocciatura!
Tanto per darvi un'idea del tipo di postulati con cui tutti i giorni bisogna fare i conti ecco per voi alcuni tra i più importanti “aforismi” alla Murphy:
  • La probabilità che una fetta di pane imburrata cada dalla parte del burro verso il basso su un tappeto nuovo è proporzionale al valore di quel tappeto.
  • Tutto va male contemporaneamente.
  • La probabilità che qualcosa accada è inversamente proporzionale alla sua desiderabilità.
  • Se tutto è andato bene, evidentemente qualcosa non ha funzionato.
  • Non è vero che: non tutto il male viene per nuocere; non solo, ma anche il bene, qualora si manifestasse, viene per nuocere.
  • Chi bene incomincia, è a metà dell'opera, destinata a finire male.
  • Le esperienze fallimentari passate, non rendono più saggi e accorti, solamente più rintronati.
  • Quando piove, diluvia.
È buffo, leggendo queste frasi non so se ridere o urlare. Comunque se anche voi, come me, avete delle Scene di vita alla Murphy fatemelo sapere...Lo spazio commenti del blog è tutto per voi!
Vi leggerò molto volentieri.
E adesso che anche voi conoscete il carissimo Murphy sono sicura che, la prossima volta che vi cadrà un barattolo di miele e si sfracellerà sulle vostre scarpe nuove di pelle, vi farete una bella ristata.

PS: Mi piace parlare di fortuna e sfortuna nelle piccole cose, in quei piccoli avvenimenti che anche se negativi ci fanno sorridere. Delle cose importanti davvero e dei problemi SERI e personali non ne parlerei mai in questi termini e soprattutto mai in questo blog! Perciò oggi sorrido delle mie piccole disavventure. 

martedì 15 marzo 2011

L'arte nella Londra sotterranea

Viaggiare in metropolitana non sempre è comodo e piacevole, soprattutto per una persona come me. L'idea si essere chissà quanti metri sotto terra circondata da migliaia di persone che freneticamente si muovono in qualsiasi direzione, tipo formicaio, non è che mi renda poi molto tranquilla.
Comunque passato lo shock iniziale ho capito che in metro si possono fare incontri veramente interessanti. Ogni mattina nella stazione di Bank proprio di fronte all'entrata della Northern Line, c'è un suonatore ambulante che con il suo sax allieta noi viaggiatori frettolosi.
Fermarmi ad ascoltarlo per qualche secondo è diventato ormai il rito mattutino!
E la cosa interessante è che questi artisti ormai sono parte integrante del sistema metropolitano, non solo si può dire che ogni stazione ha il suo musicista “di fiducia” ma dal 2003 la London Underground ha anche deciso di regolarizzare la loro attività con tanto di licenza e obbligo di suonare a tema. Ogni artista avrà una regolare licenza, un tesserino di identificazione, e determinate ore e zone per suonare in ben 12 stazioni metro.
Da sempre la metropolitana è crocevia di culture, razze e per questo è diventato un luogo fondamentale per lo sviluppo di varie pratiche artistiche, prima fra tutte la musica ma da qualche anno il Regno Unito ha deciso di incentivare anche l'arte e la poesia.
I due progetti Art on the Underground e Poems on the Underground sono un punto di partenza per artisti che hanno voglia di farsi conoscere, sono un'opportunità per far conoscere l'arte e infine sono la dimostrazione che: “Di nuovo al mondo non c'è nulla o pochissimo, l'importante è la posizione diversa e nuova in cui un artista si trova a considerare e a vedere le cose della cosiddetta natura e le opere che lo hanno proceduto o interessato (Giorgio Morandi)”.
Se vi capita perciò di passare per Londra, in qualche stazione, fate come me: fermatevi ad ascoltare, fermatevi ad osservare...

Loving the rituals that keep men close,
Nature created means for friends apart:

pen, paper, ink, the alphabet,
signs for the distant and disconsolate heart.

Palladas (4th century AD)   

domenica 13 marzo 2011

St.Patrick's day

Questa mattina nonostante la pioggia abbiamo deciso di prendere parte ai festeggiamenti londinesi di San Patrizio. Non potete immaginare quanto questa festa sia sentita in questa città!
Siamo arrivati a Trafalgar Square verso le 12:00, giusto in tempo per assistere alla parata delle 32 contee d'Irlanda. Una sfilata di colori (verde e arancione), musica, balli, cibo e birra.
La cosa che più mi ha colpita è stata vedere la partecipazione, anche assai numerosa, di persone di una certa età. Il loro spirito gioviale e la voglia di ricordare e onorare ancora una volta le loro origini, rigorosamente con una pinta di Guinness in mano.
È stato bello passare qualche ora “fingendoci” irlandesi, Cino per ovvie ragioni di carattere somatico non era credibile, e forse neanche io visto che non facevo altro che guardarmi intorno e scattare foto.
Tutto sommato è stata una giornata interessante, ricca di spunti per il mio blog, a partire proprio dalle origini di questa celebrazione per esempio.
Intanto bisogna ricordare che il giorno ufficiale di San Patrizio è il 17 marzo quindi se vi trovate nelle vicinanze di un bel pub non potete non bervi una buona birra alla salute del caro Patrick.
Perché proprio il 17? Secondo alcune fonti il 17 marzo sarebbe il giorno in cui morì il Santo, intorno al 461 d.C. Esiste però anche un'altra possibile spiegazione per cui tale festa cada proprio il 17 marzo: si tratta di una leggenda popolare secondo la quale questo è il giorno in cui San Patrizio estrasse la “pietra fredda” dall'acqua, a simboleggiare la fine dell'inverno e l'inizio della primavera e la semina dei campi.
Come tutti sanno San Patrizio è il patrono d'Irlanda. Ma quello che molti non sanno è che questa festa non ha avuto origine nella nostra isola verde. I primi festeggiamenti infatti nascono nella città di Londra e negli Stati Uniti. Una delle più antiche testimonianze a proposito è fornita dallo scrittore dublinese Jonathan Swift, autore de “I viaggi di Gulliver”, il quale racconta in un suo diario che nel 1713 il Parlamento di Westminster era chiuso perché era appunto S. Patrizio.
Oltreoceano invece i primi festeggiamenti tra emigrati irlandesi risalgono al 17 marzo 1737 nella città di Boston.
È bene precisare però che allora la festa riguardava solo la parte protestante della popolazione, i cattolici erano totalmente esclusi. Solo tra il XIX e il XX secolo si unirono alle celebrazioni.
La prima parata si svolse a New York nel 1762, fu un evento del tutto casuale e spontaneo: alcuni soldati irlandesi che stavano andando a festeggiare San Patrizio in una taverna improvvisamente cambiarono idea e decisero di marciare in strada dietro la loro banda. Fu un evento talmente spettacolare che da allora la parata è diventata parte integrante delle celebrazioni.
Nel secolo scorso e ancora di più negli ultimi anni gli irlandesi d'America si sono sempre più integrati con la società per così dire “ospitante”, e festeggiare il S. Patrick's day non rende solo omaggio alle proprie origini, diventa se vogliamo un modo per celebrare questa integrazione.
Sembrerà assurdo ma in Irlanda il St. Patrick's day è divenuto festa nazionale solo nel 1995, grazie ai seguenti motivi esposti nel decreto del Governo irlandese:
  1. Offer a national festival that ranks amongst all of the greatest celebration in the world;
  2. Create energy and excitement throughout Ireland via innovation, creativity, grassroots involvement, and marketing activity;
  3. Provide the opportunity and motivation for people of Irish descent (and those who sometimes wish they were Irish) to attend and join in the imaginative and expressive celebrations;
  4. Project, internationally, an accurate image of Ireland as a creative, professional and sophisticated country with wide appeal, as we approach the new Millennium;
  5. The first St Patrick’s Festival was held over one day, and night, on March 17th 1996. With a little over four months in which to effect change, the main object was to demonstrate that changes were afoot and starting the process away from “just a parade”. The live audience for the day was estimated to be 430,000.
Il primo St. Patrick's day “ufficiale” ebbe luogo in Irlanda nel 1996 e la festa durò un solo giorno. Dal 2000 i giorni di festa sono quattro e per tutti e quattro i giorni si alternano concerti, cortei carnevaleschi, fuochi d'artificio, spettacoli di strada, birra a fiumi e per il gran finale ovviamente non può mancare la famosa parata.
Protagoniste assolute nei giorni di festa (quest'anno dal 16 al 20 marzo)?
La città di Dublino e la sua famosa birra “Guinness”.

Noi oggi abbiamo onorato questa festa, paese che vai usanza che trovi, giusto? E noi non ci tiriamo indietro quando si tratta di conoscere e capire le diverse culture.
Ma il 17 marzo io e Cino non berremo alla salute di Patrizio bensì alla salute della nostra giovane Italia che proprio quel giorno compie 150 anni. Brinderò al fatto che sono italiana, anche se a volte non ne vado molto fiera, brinderò per gli italiani onesti, per quelli che come noi adesso vivono in un altro Paese e per quelli che lavorano per un'Italia migliore.
Infine mi mangerò un bel piatto di pasta e penserò al mio paesino Tellaro e alle persone che più mi mancano e che tanto amo.

La donzelletta vien dalla campagna
in sul calar del sole,
col suo fascio dell'erba; e reca in mano
un mazzolin di rose e viole,
onde, siccome suole, ornare ella si appresta
dimani, al dí di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
su la scala a filar la vecchierella,
incontro là dove si perde il giorno;
e novellando vien del suo buon tempo,
quando ai dí della festa ella si ornava,
ed ancor sana e snella
solea danzar la sera intra di quei
ch'ebbe compagni nell'età piú bella.
Già tutta l'aria imbruna,
torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre
giú da' colli e da' tetti,
al biancheggiar della recente luna.
Or la squilla dà segno
della festa che viene;
ed a quel suon diresti
che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
su la piazzuola in frotta,
e qua e là saltando,
fanno un lieto romore;
e intanto riede alla sua parca mensa,
fischiando, il zappatore,
e seco pensa al dí del suo riposo.

Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
e tutto l'altro tace,
odi il martel picchiare, odi la sega
del legnaiuol, che veglia
nella chiusa bottega alla lucerna,
e s'affretta, e s'adopra
di fornir l'opra anzi al chiarir dell'alba.

Questo di sette è il più gradito giorno,
pien di speme e di gioia:
diman tristezza e noia
recheran l'ore, ed al travaglio usato
ciascuno in suo pensier farà ritorno.

Garzoncello scherzoso,
cotesta età fiorita
è come un giorno d'allegrezza pieno,
giorno chiaro, sereno,
che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo'; ma la tua festa
ch'anco tardi a venir non ti sia grave.

(Il sabato del villaggio – Giacomo Leopardi)

mercoledì 9 marzo 2011

How hard can it be?

Certe cose sembrano ai nostri occhi davvero impossibili. Essere scettici e realistici fa ormai parte integrante di ognuno di noi, involontariamente stiamo perdendo quella leggerezza che, all'eccesso rende idioti, ma ben dosata aiuta a vivere più sereni. In fondo è anche la società che ci vuole così!
O meglio vorrebbe....
Per fortuna c'è chi ancora ha voglia di scommettere sull'impossibile e, anche se in maniera bizzarra, riesce a realizzare i propri sogni.
Vi ricordate “UP” il film di animazione della Pixar e la sua casetta volante?
Io si. Mi è capitato di vederlo poche settimane prima di partire per Londra, ricordo che mi aveva sorpresa per la sensibilità delle tematiche e per la dolcezza con cui le descriveva.
Il protagonista è un vecchietto tutto pepe, Carl Fredricksen, che rimasto vedovo decide di realizzare il sogno di una vita, andare alle Cascate Paradiso. Come? Ovviamente con la sua casa, il luogo dei suoi ricordi, ancorata a migliaia di palloncini.
Vi domanderete perché vi sto parlando di “UP” a proposito di sogni irrealizzabili...
Bhè, perché proprio ieri mentre ero in metropolitana e leggevo il solito giornale mi sono imbattuta in un articolo alquanto originale: “Balloon house from UP created in real life by National Geographic Channel”.
Partendo da questa domanda: una casa può realmente volare?, il National Geographic ha inviato alcuni ingegneri nel Mojave Desert per condurre l'originale esperimento.
Il team composto da alcuni scienziati, ingegnieri, due piloti di mongolfiere e ovviamente la troupe del N.G, ha fatto decollare una casetta con la base 5m x 5m e alta 5,5m. L'occasione? La trasmissione televisiva “How hard can it be?”.
-Esperimento National Geographic-

La casetta ha spiccato il volo da una pista di decollo privata a est di Los Angeles, ha raggiunto l'altitudine di 3 km e ha volato per più di un'ora sostenuta da trecento palloncini (diametro: 2,5m) gonfiati a elio.
A volte anche i sogni diventano realtà...E quando succede è bellissimo!

sabato 5 marzo 2011

Cosa rimane del tempio del calcio

Oggi sono entrata in un luogo molto caro agli inglesi: la "casa" della nazionale di calcio, il Wembley Stadium.
Sicuramente è una struttura che non lascia indifferenti, mentre mi avvicinavo a piedi ne sentivo l'imponenza, una strana sensazione che senti aleggiare nei suoi dintorni come una leggera foschia che ad un certo punto ti turba.
Era lì, il gigante di vetro che riflette i colori di Londra, sovrastato da un arco che per quanto grande non riuscivo a vedere. Ora il simbolo di Wembley è proprio quell'arco. E' bizzarro che lo si riesca a vedere solo da lontano.
All'ingresso principale la statua di Bobby Moore ti da il benvenuto, il che crea anche un pò di nostalgia...
Si, perché tutto quello che era, rappresentava la nazionale inglese ora non esiste più. 
Facendo il tour del nuovo stadio ho avuto la sensazione che lo stadio in se stesso avesse più importanza dei giocatori che lo rappresentano. E' vero, è uno stadio moderno, bello, sicuro, talmente perfetto da non sembrare neanche uno stadio. E la guida oggi ci ha illustrato ogni innovazione tecnologica, ogni sezione, le sale per i ricevimenti, la sala reale, le stanze private per i miliardari che vogliono vedere le partite, la sala della conferenza stampa vanta ben 80 posti a sedere, il club di Bobby Moore ha diritto alle sedie "morbide" per vedere la partita, gli spogliatoi sono addirittura quattro, prima di entrare in campo i calciatori calpestano una moquette e udite udite il Wembley Stadium è lo stadio che ha più cessi, si avete capito bene, nessun altro stadio ha tanti cessi quanto Wembley. Forse è un record che si ad dice alla situazione penosa della nazionale!
Resta il fatto che questo tour ha messo ancora di più in risalto quanto sia radicalmente cambiato lo spirito inglese. Avrei preferito sentire da parte dello staff, della guida, un più forte attaccamento a quella maglia dai tre leoni che tante volte ci ha fatto emozionare. 
Poi penso, sono stati loro a voler abbattere il vecchio Wembley, sono stati loro a voler un italiano (e che italiano!) a guidare la nazionale, forse anche loro adesso hanno quello che si meritano.
Da spettatrice posso solo aspettare, nel frattempo possiamo fare un salto nel passato...
-L'Empire Stadium-

Nella seconda metà dell'800 la zona di Wembley era caratterizzata da una vasta zona verde, parchi con cascate, fontane, insomma adatta per le classiche passeggiate tanto amate dai londinesi.
Con lo sviluppo sempre maggiore della metropolitana e treno, nel 1889 il presidente della Metropolitan Railway, Sir.Edward Watkin, volle aggiungere un'attrattiva al già famoso parco. La sua idea fu quella di costruire una torre di almeno 350 metri, più alta e particolare della Tour Eiffel di Parigi; ma la costruzione venne abbandonata a 61 metri appena, a causa dell'instabilità del terreno e la mancanza di finanziamenti. Rimase in piedi fino al 1907, anno in cui venne fatta saltare con la dinamite.
Con la fine della Grande Guerra il governo britannico varò il progetto per la “British Empire Exhibition”, che oltre ad avere centinaia di padiglioni, le rappresentanze delle varie Colonie, decise di costruire per tale occasione lo stadio nazionale dello sport; e il parco di Wembley fu scelto come sede ideale.
L'Empire Stadium venne costruito in appena 300 giorni da 1500 operai e fu inaugurato il giorno della finale di Coppa d'Inghilterra il 28 aprile 1923, vinta dal Bolton Wanderers 2-0 contro il West Ham United. Quel giorno si raggiunse la capacità di 126.945 spettatori, record ancora imbattuto. 
Ma quel famoso 28 aprile passò alla storia anche per un altro fatto: “Il giorno della nascita di Wembley si sfiorò una catastrofe”, così leggo in un articolo, “Si grida al miracolo” leggo in un altro. In effetti proprio per il grande evento di inaugurazione si presentarono, oltre ai 127.000 degli spalti, una folla di altrettante persone al di fuori dello stadio. Cancelli e barriere cedettero e moti, per scampare all'ondata, si rifugiarono in campo. Quel giorno ci furono oltre 1000 feriti, altri arrivarono in ospedale con fratture e sindrome da schiacciamento addominale. Con l'arrivo di Re Giorgio V vennero chiamati i rinforzi e la situazione si stabilizzò, il match cominciò con 43' di ritardo e la gente lungo le linee laterali.
Da allora la finale di Coppa d'Inghilterra, nata nel 1872, si è sempre giocata a Wembley; la Nazionale di calcio adottò presto questo terreno come quello di casa, inizialmente per le sfide contro Scozia, Galles e Irlanda del Nord, successivamente, dopo la Seconda Guerra Mondiale, anche per le partite con il “resto del Mondo”. L'Argentina fu la prima squadra a giocare nel “tempio” del calcio il 9 maggio 1951, battuta 2-1 dalla nazionale inglese.
È un'impresa riservata a poche quella di espugnare Wembley, sono 16 le avversarie che hanno sconfitto i “leoni” nella loro tana.
Sconfitte, vittorie, in questo stadio si sono giocate ben sette finali delle coppe europee (1963,'65,'68,'71,'78,'92,'93), i cosiddetti Leoni inglesi abitano qui dal lontano 1924 e qui hanno vinto il trofeo forse più importante, la Coppa del Mondo (allora Coppa Rimet). 
Era il 30 luglio 1966 contro la Germania Ovest. Era Bobby Moore il capitano gentiluomo di quella grande Inghilterra ed era Sir.“Alf” Ramsey a guidarla.
«Era tanto mio amico quanto il più grande difensore contro il quale abbia mai giocato. Il mondo ha perso uno dei suoi migliori calciatori e un rispettabile gentiluomo» (Pelé, in memoria di Bobby Moore)
La storia di questo stadio non è ricca solo di eventi legati al calcio, già nel 1929 Wembley aprì le sue porte al rugby professionistico, poi cominciarono gli incontri di Boxe, Muhammad Alì, a quel tempo ancora Cassius Clay, arrivò ad un passo dalla clamorosa sconfitta sul quadrato dell'Empire Stadium, il 18 giugno 1963, contro l'inglese Henry Cooper. Wembley divenne la sede anche per altre due attività fisse: lo speedway e le corse dei cani.
Nel 1948 ospitò le olimpiadi e la pista di speedway fece posto alla pista di atletica, e il 29 luglio 4500 atleti di 59 Paesi sfilarono nella cerimonia di apertura davanti a 82.500 spettatori.
Negli anni Settanta anche Wembley si apre al Rock, l'estate del 1972 è caratterizzata dalla serie di concerti di Billy Haley, Little Richard e Chuck Berry. Ma l'evento musicale più significativo, che se vogliamo cambiò anche la storia del Rock live, fu il concerto in mondovisione Live Aid del 1985, per le vittime della carestia in Etiopia e Sudan.
Da tempio del calcio a tempio del rock. Orgoglio inglese, è passato alla storia come luogo sacro del football, dove ogni giocatore sognava di giocare.

Io non ho avuto la fortuna di vedere né tanto meno di entrare in questo tempio del calcio, so solo che cosa rappresentavano quelle due torri che sventolavano con orgoglio la bandiera inglese.
Oggi quel che resta è un gran bello stadio, forse il più bello mai costruito... Nient'altro!


PS: Nella mia vena critica mi sono dimenticata di sottolineare che comunque, nonostante tutto, il tour è stato molto divertente e la guida, anche se del Chelsea, era molto simpatica e preparata!  



mercoledì 2 marzo 2011

Fish and Chips

Il piatto inglese per antonomasia non è come molti erroneamente pensano il rostbeef o la tipica colazione inglese, bensì il fish & chips (letteralmente pesce e patatine). 


Il pesce, di solito merluzzo o eglefino, viene prima immerso in una pastella molto densa poi fritto, e servito su un letto di patatine fritte. 
Viene generalmente consumato come pasto take away, peculiarità assolutamente inglese, avvolto nella tipica carta assorbi grasso, in origine carta di giornale, mangiato per strada, passeggiando o seduti in qualche angolo di città.
Famoso ormai in molte parti del Nord America, Australia e Nuova Zelanda, in Inghilterra si deve il suo sviluppo alle classi più povere. 
A partire già dal 1800 l'abbondanza di pesce che portava la pesca a strascico e il progredire dei trasporti favorirono il commercio alle grandi masse in tutto il Paese.
L'origine della combinazione pesce-patate non ha ragioni ben precise, probabilmente deriva dall'allora necessità di utilizzare prodotti non soggetti a razionamento.
Oggi il Fish & Chips si può ordinare in quasi tutti i pub di Londra, oppure lo si può mangiare in qualche mercato del fine settimana e infine in posti in cui non ti saresti mai immaginato...
- L'autobus del Fish & Chips in Southbank -